Studio Legale Pagano & Partners

Tribunale di Pordenone: una sentenza di rigetto per la mancata indicazione delle rimesse solutorie e dell’ammontare del petitum chiesto in ripetizione

Il Giudice non ha tenuto conto di quanto emerso in sede di perizia di parte

Una discutibile sentenza di rigetto e condanna pronunciata nei confronti di un cliente difeso dello Studio Pagano che conveniva in giudizio l’istituto di credito deducendo svariate anomalie in relazione a un contratto di conto corrente del 2004, chiuso nel 2017 (sul presupposto dell’assenza della forma scritta del contratto regolante le condizioni del conto, l’attore riteneva illegittimo ogni addebito effettuato a titolo di interessi ultralegali, anatocistici, CMS) e chiedendo, quindi, la rideterminazione del saldo finale con condanna della banca alla ripetizione di quanto illegittimamente incamerato nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non.

Costituendosi in giudizio la banca produceva parte della documentazione bancaria prima di allora non a disposizione dell’attore e il Giudice – a nostro parere erroneamente – rigettava la richiesta attorea di CTU contabile. L’analisi di un consulente avrebbe certamente fatto luce sulle risultanze peritali di parte, confermandole.

Ciò posto, il Giudice, ritenendo che l’attore non avesse provveduto alla corretta indicazione in sede di citazione del petitum e della causa petendi rigettava in toto le richieste di parte attrice omettendo, fra l’altro, di entrare nel merito delle altre contestazioni, fra cui quella fondamentale, nel caso di specie, della nullità della CMS e dell’assenza di specifica pattuizione scritta degli affidamenti come previsto dall’art. 117 TUB.

Soffermiamoci su alcuni punti più rilevanti.

La sentenza: “(..) parte attrice si è limitata a richiamare, sul punto, i risultati di una consulenza di parte allegata e rinviando, dunque, per la determinazione delle singole rimesse ed il calcolo di quanto richiesto a quanto previsto in tale elaborato di parte (..) Con la domanda proposta l’attore non ha indicato minimamente le singole rimesse di cui ha chiesto la ripetizione e non ha indicato nemmeno l’ammontare del petitum chiesto in ripetizione”.

A ben vedere in sede di citazione parte attrice censurava il rapporto bancario intercorso tra le parti con l’apertura del conto corrente dimostrando attraverso la perizia di parte e con le apposite tabelle tutte le poste illegittimamente incassate dalla banca per le quali chiedeva la condanna alla restituzione.

Il perito di parte al fine di verificare l’usurarietà dei tassi applicati applicava la formula della Banca d’Italia tramite la quale per alcuni trimestri la banca aveva applicato tassi di interessi oltre soglia quantificando l’importo da restituire al correntista a titolo di usura oggettiva o soggettiva.

Il caso de quo ci porta a fare alcune riflessioni sul notevole contrasto giurisprudenziale che si è formato sul riparto dell’onere probatorio per quanto attiene l’individuazione delle rimesse solutorie.

Secondo l’orientamento adottato/seguito dalle banche spetta al correntista che agisce in un’azione di ripetizione (per la restituzione di illegittimi addebiti) a dover provare che i versamenti effettuati nel corso del rapporto non integrano pagamenti e non hanno, quindi, funzione solutoria, in virtù del disposto di cui all’art. 2697 c.c secondo il quale chi vuol far valere un diritto in giudizio  deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Di diverso avviso è il contrapposto orientamento secondo il quale spetta alla banca che eccepisce la prescrizione dimostrare il decorso del tempo decennale e che il correntista ha operato in assenza di fido, o superando il limite del fido concesso (pagamenti di natura solutoria) in quanto è suo interesse dimostrare la ricorrenza della natura solutoria delle rimesse annotate in conto corrente.

Oggi tale contrasto è stato superato grazie all’intervento della Corte di Cassazione a Sezione Unite che con sentenza n. 15895 del 13.06.2019 ha sancito il suddetto principio: l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.

Ciò non esclude un esonero da parte della banca dal provare le rimesse ma solo che l’onere di allegazione attiene all’inerzia del titolare del diritto, mentre la verifica concreta dell’esistenza di pagamenti solutori attiene al merito dell’eccezione e, dunque, alla verifica sul piano probatorio della sua fondatezza.

 

Trovate la sentenza in allegato.


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