La decisione, nel caso di specie, riguarda il divorzio tra un ex ministro e l’ex compagna: quest’ultima aveva presentato ricorso – successivamente respinto – contro il provvedimento emesso dalla Corte di Appello di Milano, che le negava di ottenere l’assegno di mantenimento. La Cassazione, si mostra totalmente concorde con la precedente pronuncia milanese, in virtù del fatto che a far perdere il diritto all’assegno alla ex moglie “non è il fatto che si suppone abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva”.
Pertanto, la stessa Corte conclude ritenendo inesistente la presenza di un interesse giuridicamente rilevante dell’ex coniuge a mantenere lo stile di vita matrimoniale.
Con tale pronuncia, muta il criterio di calcolo e le modalità con cui viene erogato l’assegno di mantenimento: a tal fine, non rileva più il tenore di vita matrimoniale, ma la capacità del richiedente di poter provvedere a mantenersi in modo del tutto autonomo. Da tale decisione si evince chiaramente che, ciò che rileva d’ora in poi, è il cosiddetto principio di autoresponsabilità economica dei consorti.
Nello specifico, la Corte di è pronunciata in tal senso: “la Prima sezione civile, ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell’assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell’assegno, avente natura assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede”.
In definitiva, si può affermare che, secondo i giudici, ha diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento, solo colui che prova di non poter provvedere, in modo auto-sufficiente, al proprio sostentamento.
Il requisito dell’autosufficienza, potrà essere verificato tramite la presenza di quattro requisiti, ritenuti necessari:
- il “possesso” di redditi di qualunque genere;
- la presenza di un patrimonio mobiliare e immobiliare;
- l’effettiva disponibilità di un’abitazione;
- la capacità e possibilità lavorativa del richiedente.
L’assenza di prova o inesistenza di uno di questi elementi, fa sorgere in capo al richiedente, l’onere di provare i motivi di tale mancanza.
Il diritto a percepire l’assegno divorzile, è un diritto garantito dall’art. 5, comma 6, della Legge n. 898/1970. Inoltre, a garanzia di questa tematica, occorre ricordare un’ulteriore pronuncia della Corte (sentenza 05.02.2014 n. 2546) che detta regole in ordine alla quantificazione dell’assegno in sede di divorzio.
La ragione dell’esistenza dell’assegno divorzile risiede nell’inderogabile dovere di solidarietà economica in seguito al divorzio. A tal fine, appare evidente come la legge tende a tutelare il “coniuge più debole”, ponendo l’accento sulla componente assistenziale.
Possiamo affermare, in definitiva, come tale pronuncia sia totalmente rivoluzionaria in materia di diritto di famiglia: tale innovazione, si è verificata anche per quanto attiene la terminologia utilizzata, infatti vengono introdotti nuovi termini, quali, ad esempio “estinzione” del vincolo matrimoniale.
Questa decisione, ha creato differenti reazioni, ad esempio, il presidente dell’associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani, Gian Ettore Gassani, ha commentato suddetta decisione, definendola come un “terremoto giurisprudenziale”.