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Derivati di stato: perché nessuno ne parla?

Tale cifra è – in realtà – destinata ad aumentare, in vista dei prossimi anni: le stime, infatti, riportano una somma di circa 25 miliardi di euro (entro il 2021).

Ma che cosa sono i derivati?  I derivati sono strumenti finanziari molto complessi e rischiosi, il cui valore deriva da altri prodotti finanziari. Il titolo o il bene la cui quotazione imprime il valore al derivato, prende il nome di “sottostante”.

I derivati, possono assolvere due ruoli: una finalità di protezione in vista di un eventuale rischio di mercato, quanto una finalità speculativa.

Questa tematica, seppur rilevante e di notevole rilevanza, non viene affrontata da nessuno, o meglio, non viene affrontata quanto meriterebbe. Dopo un breve periodo – 2012/2013 – in cui l’argomento aveva raggiunto il picco d’attenzione (episodio Monti/Stanley), nessuno ha più puntato l’attenzione sulle consistenti perdite sui derivati sottoscritti dallo Stato.

Perciò, sorgono spontanee alcune domande.

Perché nessuno ne parla? E soprattutto, di che cifre stiamo parlando?

Innanzitutto occorre fare un salto nel passato. Al fine di controllare le oscillazioni del debito pubblico italiano e rientrare nei parametri di accesso alla moneta unica, negli anni ’90 l’Italia ha stipulato differenti contratti derivati. Oggi, alcuni di essi risultano estinti (causando però ingenti perdite a danno delle casse italiane), mentre altri sono ancora in essere. Anche se le relative clausole di rescissione sono poco note (perché il Tesoro si è sempre rifiutato di mostrare i contratti), ciò che fa sollevare dubbi e perplessità, è il timore – condiviso da molti – che questi, provochino ulteriori perdite, a danno dei nostri conti.

Nessuno sembra interessarsi dell’argomento, o meglio, se ne parla davvero poco. Eppure la tematica è di grande interesse, se si pensa che, dai dati a noi pervenuti, tra il 2011 e il 2014 le perdite dello Stato italiano causate dai derivati, ammonterebbero a circa 17 miliardi. Anzi, a dire il vero, l’Italia detiene il primato di perdite per derivati di stato nell’Eurozona.

Tali cifre, come già anticipato in precedenza, sono destinate ad aumentare: solo per gli anni 2017/2020, è stato calcolato una spesa di 15,2 miliardi. Altri dati, riportano cifre ben peggiori: ad esempio, nel suo libro “La voragine”, Luca Piana, ha stimato che tra il 2016 e il 2021 le perdite stimate, ammonterebbero a 24 miliardi.

Di fronte a cifre così consistenti, il Tesoro si è sempre giustificato dicendo che le perdite in questione, sono solo potenziali e non reali, in virtù dei continui cambiamenti del mercato.

Ma sarà davvero così? Si parla davvero di cifre potenziali?

Secondo alcuni, tali cifre sono tutt’altro che eventuali, anzi, alcuni, già in passato, avevano sollevato dubbi in merito. Si pensi, ad esempio, a Warren Buffett (importante economista statunitense) che nel 2002 aveva definito questo genere di strumenti «armi finanziarie di distruzione di massa», mettendo in guardia dai rischi «potenzialmente letali» che potevano generare.

La situazione, dunque, è abbastanza critica, anche perché il vero problema è dato dal fatto che questi strumenti finanziari, non si esauriscono, ma sono destinati a durare nel tempo.

In altri paesi europei, i derivati non hanno causato perdite eccessive, come in Italia. Addirittura alcuni paesi, hanno ottenuto un guadagno (per esempio l’Olanda).

Allora, perché l’Italia paga così tanto?

A differenza degli altri paese, il nostro, oltre agli strumenti atti a tutelarsi contro i rialzi dei tassi, ha sottoscritto delle opzioni di carattere speculativo, le quali hanno causato notevoli danni.

Ad esempio, i contratti siglati dallo Stato con la banca americana Morgan Stanley, che nel 2013 ci sono costati oltre 3 miliardi di euro.

Vicenda che non ha lasciato indifferente la procura della Corte dei Conti del Lazio, la quale ha chiamato in giudizio la banca di Stanley e i vertici del Tesoro, per danno erariale (si parla di un danno di quasi 4 miliardi di euro). In poche parole, l’istituto di credito americano, avrebbe dovuto consigliare lo Stato, ma ha fatto tutt’altro, commettendo «palesi violazioni dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione contrattuale».

Al Tesoro, invece, viene contestato la mancata attuazione delle giuste garanzie: infatti, i vari membri al vertice del Tesoro, sono accusati di aver stipulato diversi contratti di derivati, che evidenziavano evidenti “profili speculativi”, pertanto non idonei alla finalità di ristrutturazione del debito.

Da ciò che si evince, è chiaro che l’intera questione sia alquanto complessa e che sarebbe il caso di affrontare – a gran voce – l’intera tematica.