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Il codice rosso

Partiamo da una definizione: è “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne. Il codice rosso si pone a loro tutela.

Si tratta di una questione seria, che coinvolge la salute emotiva delle vittime, tante volte prima ancora che siano identificabili in quanto tali. Subire pedinamenti, continue telefonate o messaggi, lede la serenità delle giornate prima ancora che la minaccia si traduca in pratica.

A ciò va aggiunto che sono tantissime le donne che subiscono violenze o maltrattamenti senza mai trovare il coraggio di sporgere denuncia. Oltre a tutte le tragiche notizie di morti premature che troppo spesso si leggono sulle prime pagine dei giornali.

E’ a fronte di questo stato di cose che il Parlamento, nel 2013, approvava la legge sul femminicidio, successivamente recepiva la Convenzione di Istanbul e approvava, nel 2019, il c.d. codice rosso. In tutti questi casi l’intento del legislatore è stato quello di prevenire la commissione di reati ed incentivarne la denuncia. Alla vittima si è voluto dare una tutela giuridica che le infondesse un senso di sicurezza e di affidabilità del sistema giustizia.

In merito al c.d. codice rosso è bene fare alcune precisazioni. Innanzitutto, il provvedimento oggetto di analisi introduce quattro nuove fattispecie di reato:

  • il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinques c.p.), punito con la reclusione da 8 a 14 anni; e con l’ergastolo qualora consegua l’omicidio;
  • il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (c.d. revenge porn, art. 612-ter c.p.), punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da 5.000 a 15.000 euro;
  • il delitto di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.), punito con la reclusione da 1 a 5 anni;
  • il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento e del divieto di avvicinamento (art. 387-bis c.p.), punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

Inoltre, la legge in questione modifica fattispecie già previste, inasprendo le pene, ovvero prevedendo nuove aggravanti. Ciò si verifica in tema di maltrattamento contro familiari e conviventi, atti persecutori, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e delitto di omicidio, per il quale ultimo si prevede l’aggravante rappresentata dalle relazioni personali.

Le modifiche procedimentali, inoltre, vanno nella direzione di velocizzare l’instaurazione del procedimento penale per i delitti di violenza domestica e di genere, accelerando l’adozione di provvedimenti di protezione della vittima.

Per questo, a fronte di notizie di reato relative a violenza domestica o di genere:

  • la polizia giudiziaria può riferire al PM anche in forma orale;
  • il PM assume informazioni dalla persona offesa entro 3 giorni;
  • la polizia giudiziaria procede alle indagini “senza ritardo”.

Ulteriori novità, poi, sono le seguenti:

  • comunicazione dei circuiti civili con quelli penali, così che le decisioni sui figli siano adottate alla luce di una valutazione esauriente e complessiva della situazione familiare. Si facilità così la conoscenza di eventuali procedimenti penali pendenti o conclusi a carico dei coniugi.
  • introduzione del braccialetto elettronico a garanzia del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;
  • previsione di specifici obblighi di comunicazione alla persona offesa  delle modifiche intervenute nello stato giuridico del reo (es: la sua scarcerazione o evasione).

Oltre a queste modifiche ne sono previste altre, le cui principali sono:

  • la previsione di corsi di formazione per l’autorità di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;
  • l’introduzione della possibilità per il reo di beneficiare di un trattamento psicologico con finalità di recupero;
  • l’estensione del Reddito di Libertà e la previsione dell’assistenza legale a spese dello Stato, al fine di aiutare le vittime a riconquistare la loro autonomia e incentivarle a sporgere denuncia all’autorità giudiziaria.

Ad oggi, però, i numeri rimangono allarmanti. Circa 40.000 casi di maltrattamento l’anno, oltre 20.000 casi di stalking, quasi 8.000 casi di violenza sessuale, circa 3.000 violazioni del divieto di avvicinamento alla p.o., oltre 1.000 casi di revenge porn, oltre 2.000 ammonimenti questorili, fino alla triste soglia di oltre 70 omicidi l’anno commessi in ambito familiare/affettivo. Per questo il Governo ha emanato il DDL 2530, oggi al vaglio delle Camere, che va nella direzione di rafforzare la tutela delle donne che denunciano e di prevedere maggiori e più incisivi interventi cautelari sugli uomini maltrattanti. l’obiettivo è l’integrazione del c.d. codice rosso già in vigore.

In sintesi le disposizioni oggetto di analisi sono le seguenti:

  • ampliamento dei casi in cui interviene l’ammonimento del questore, cui consegue la procedibilità d’ufficio;
  • ampliamento dei casi che prevedono l’obbligo per chi riceve le notizie di reato di informare la vittima sulle misure previste per la sua tutela;
  • previsione della possibilità di avvalersi della c.d vigilanza dinamica già in fase di denuncia o querela;
  • potenziamento del braccialetto elettronico;
  • ampliamento dei casi che prevedono la custodia cautelare in carcere;
  • equiparazione dei divieti di avvicinamento emessi in sede civile e penale;
  • introduzione di una nuova figura precautelare: il fermo del PM o della polizia giudiziaria di persona gravemente indiziata dei delitti di maltrattamenti;
  • estensione dell’arresto in flagranza differita per il reato di cui all’art. 387-bis c.p.;
  • rafforzamento della sinergia informativa tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine e vittima;
  • specificazione di chi e come procedere alla rieducazione del condannato;
  • applicabilità della provvisionale per le vittime di reati violenti anche alla fase delle indagini preliminari.

 

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