Quante volte i clienti vanno dall’avvocato e cercano conferme alle loro personali convinzioni sulla loro pratica? Quante volte “pretendono” di ottenere risposte che siano certe sui risultati (positivi o negativi)?
Anche i clienti che non hanno mai studiato giurisprudenza.. ma pretendono di conoscere la realtà processuale.. quanto e più di un avvocato.
E dall’altra parte, quante volte i professionisti devono spiegare loro i diversi orientamenti giurisprudenziali? I diversi indirizzi da Tribunale a Tribunale? La (anche concreta) possibilità che il Giudice aderisca all’opposto orientamento rispetto a quello richiamato?
Nessuna certezza, che piaccia o no.
Tradizionalmente l’obbligazione professionale dell’avvocato è stata ascritta alle obbligazioni c.d. di mezzi (e non di risultato) in cui il debitore (l’avvocato) può definirsi adempiente se ha predisposto tutti i mezzi a sua disposizione per far conseguire al cliente il risultato sperato, secondo la diligenza professionale richiesta dall’art. 1176, 2 comma, c.c.
Ciò in quanto fra l’attività del legale e il risultato perseguito (anche a volte ardentemente) dal cliente si interpone, in caso di azione giudiziaria, la c.d. alea del giudizio, ovvero quel grado di imprevedibilità proprio del processo che impedisce di fare previsioni in termini di certezza o di elevata probabilità sul relativo risultato.
Ci sono, come anticipato, varie ragioni per cui il risultato di un giudizio non può essere certo: diversi orientamenti giurisprudenziali sulla questione specifica ai quali il Giudice potrà aderire, valutazione discrezionale dei mezzi di prova, difese avversarie ecc..
La sussistenza dell’alea del giudizio rende pertanto impossibile per l’avvocato effettuare prognosi in termini di certezza o elevata probabilità sull’esito di un processo.
Nessun avvocato è certo del risultato di un giudizio che intraprende nell’interesse del cliente.
Nessun cliente può esserne certo, anche se ha “avuto esperienza” nei tribunali, ha affrontato o subìto giudizi, veri o presunti.
Il criminale non è un avvocato penalista né il separato è un civilista come il paziente non è un dottore!
Si badi a fare le opportune distinzioni fra i professionisti del mestiere (anni di studio e di ricerca, anni di sacrifici) e l’esperienza di un periodo più o meno breve di vita.. più o meno intensa ma pur sempre una parentesi non scientifica.
Un vero professionista, che comprende “scientificamente” la situazione del cliente, si rapporta quindi allo stesso sempre in termini probabilistici, illustrando la migliore strategia difensiva ma non dandogli mai c.d. “false speranze” di raggiungimento del risultato auspicato.
Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ad esempio con la sentenza n. 16690/2014 – chiamata a decidere su un caso di responsabilità professionale di un avvocato, cui è stata contestata la negligente scelta del rito giudiziario per il recupero del credito del proprio cliente – confermando i criteri della riconducibilità della relativa obbligazione al novero di quelle c.d. di mezzi, conferma al tempo stesso la sussistenza dell’alea del giudizio di cui parliamo, che funge da elemento estraneo alla potestà di controllo dell’avvocato e che si frappone fra l’attività di questi e il raggiungimento del fine perseguito dal cliente stesso.
Quanto detto, ovviamente, al netto della doverosa precisazione che l’attività posta in essere dal professionista deve essere comunque oggettivamente indirizzata al perseguimento di una utilitas per il cliente, non essendo altrimenti inquadrabile in termini di adempimento poiché non confacente all’interesse del creditore.
Ancora e di converso tuttavia è opportuno considerare, come confermato dagli stessi Ermellini nella sentenza citata, che, vero che il cliente può dimostrare anche solo in termini di probabilità -e non di certezza- che la condotta del professionista assunta come diligente gli avrebbe permesso di ottenere una maggiore utilitas rispetto a quella concretamente acquisita ma allo stesso modo tale dimostrazione esige un certo grado di concretezza e specificità, non potendo prescindere dalla necessità di un vaglio che superi, nel caso di azione giudiziale, l’ostacolo formato dall’alea del giudizio.
L’alea del giudizio perciò va sempre tenuta in considerazione quando ci si rivolge all’avvocato, quando si agisce giudizialmente e.. quando si va contro l’avvocato, sempre tenendo ben presente che non si è avvocati se si ha solo esperienza e se “ci si è passati”.