Oltre 200mila euro di debiti accumulati per la crisi della loro impresa artigiana
I due fratelli sono entrambi sposati e hanno figli minori, di cui si occupano le rispettive mogli.
Ecco la loro storia.
Uno dei due, avendo sin da giovane svolto l’attività di artigiano edile cartongessista, nel 2007 decideva di aprire la propria partita iva, riuscendo, sino al 2008, a lavorare bene e a garantirsi un buono stipendio mensile.
In questa favorevole condizione economica e considerato che all’epoca anche il fratello maggiore aveva un lavoro da dipendente, decideva di acquistare insieme a lui un immobile in cui gli stessi potessero andare a vivere con le rispettive famiglie.
Per questo motivo chiedevano e ottenevano dalla banca un mutuo di € 150.000,00.
Purtroppo, a partire dal 2009 la situazione lavorativa cominciava a peggiorare, anche complice la crisi economica che portava diverse imprese edili con cui collaboravano a non saldare le fatture per i lavori svolti, rendendo difficile per loro adempiere, a loro volta, alle spese personali e dell’attività.
La situazione si aggravava nel tempo, complice un progressivo sempre maggior calo del lavoro stesso, e le entrate della piccola impresa artigiana a quel punto non erano più in grado di sostenere le spese.
Si trovavano quindi al punto di non riuscire più nemmeno a pagare le rate del mutuo. La banca avviava una procedura esecutiva immobiliare che portava alla vendita all’asta dell’immobile nel 2015.
Erano di conseguenza tutti costretti ad andare a vivere in altre case prese in affitto.
Per evitare di aggravare ulteriormente l’esposizione debitoria prendevano la decisione di cessare la propria attività e di chiudere la partita iva, impegnandosi nella ricerca di lavori alle dipendenze di terzi.
Uno dei fratelli è impiegato presso un’impresa edile con contratto a tempo indeterminato l’altro è anch’esso impiegato con contratto a tempo indeterminato presso una società di onoranze funebri.
Il debito totale si aggira attorno ai 100mila euro per ciascuno e tra i creditori principali oltre a banche e finanziarie, l’Agenzia delle Entrate Riscossione.
E’ a questo punto che i fratelli decidono di rivolgersi all’Avv. Monica Pagano. A fronte della situazione descritta si opta per una delle procedure di sovraindebitamento disciplinate dal Codice della Crisi: la liquidazione controllata del sovraindebitato ex art. 268 CCII.
La Liquidazione controllata del sovraindebitato
Il Codice della crisi riserva la procedura di liquidazione controllata a specifiche categorie. Si tratta del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo e della start up innovativa e ad ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza.
Sostanzialmente si tratta di una liquidazione giudiziale semplificata che si instaura con ricorso al tribunale competente.
Può essere promossa:
dal debitore, ammesso direttamente alla procedura controllata, o per conversione in tutti i casi di risoluzione o revoca della procedura di sovraindebitamento;
dai creditori, che possono attivare la procedura direttamente anche in pendenza di procedure esecutive individuali, o per conversione nei casi in cui la procedura di sovraindebitamento sia stata revocata per frode o inadempimento;
dal PM, direttamente quando l’insolvenza riguarda un imprenditore minore o per conversione nei casi in cui la procedura di sovraindebitamento sia stata revocata per frode o inadempimento.
Se è lo stesso debitore ad avviare la procedura deve essere assistito dall’Organismo di Composizione della Crisi. Esso predispone una relazione che valuta la completezza e l’attendibilità della documentazione inerente al debitore. La relazione contiene un’analisi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria che ha condotto alla crisi o all’insolvenza.
Se il creditore propone domanda nei confronti di un debitore persona fisica, il giudice nega l’apertura della liquidazione controllata se l’OCC, su richiesta del debitore, attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie.
La liquidazione comporta la messa a disposizione di tutti i beni del debitore al fine soddisfare i creditori attraverso la distribuzione delle somme ricavate.
Nella liquidazione entrano anche i beni sopravvenuti al debitore nei quattro anni successivi all’apertura della procedura. E’ fatto salvo quanto necessario per un dignitoso tenore di vita del debitore e della propria famiglia, secondo quanto stabilito dal tribunale.
Con la sentenza di apertura del procedimento il Giudice nomina il liquidatore, che generalmente è l’OCC che ha assistito il debitore nella presentazione della domanda o, in caso di giustificati motivi, lo sceglie nell’elenco dei gestori della crisi.
Il liquidatore giudiziale esercita le azioni di recupero dei crediti, le eventuali azioni revocatorie, aliena i beni e distribuisce il ricavato ai creditori.
L’apertura della procedura comporta il blocco di tutte le procedure esecutive e cautelari; gli eventuali giudizi di cognizione sono, su autorizzazione del giudice, proseguiti dal liquidatore.
Con la chiusura del procedimento di liquidazione controllata, il debitore ottiene di diritto l’esdebitazione.
Qualora la procedura non si sia chiusa entro i tre anni dalla sua apertura, l’esdebitazione può essere pronunciata dal tribunale dietro domanda del debitore.
Nel procedimento in esame vengono messi a disposizione dei creditori dei due uomini:
– le auto e una moto di loro proprietà;
– le liquidità dei conti correnti;
– le eccedenze sul loro reddito mensile al netto delle spese per il sostentamento familiare: poco più di € 700,00 per un fratello e poco più di € 100,00 per l’altro.
Un risultato sorprendente a fronte del monte debitorio e potranno entrambi, alla fine della procedura, beneficiare dell’esdebitazione ottenendo la liberazione totale dai debiti.