I coniugi che si sono rivolti allo Studio Pagano & Partners hanno un figlio appena maggiorenne disoccupato e la loro storia debitoria deriva purtroppo dall’esito sfavorevole dell’attività di idraulico svolta dal marito tramite una ditta individuale.
La donna, infatti, dopo la nascita del figlio, non potendo contare sull’aiuto familiare, decideva di dedicarsi interamente alle sue cure lasciando al marito l’onere di sostenere economicamente l’intero nucleo familiare.
Oggi l’uomo è operaio presso una società e lavora come installatore di impianti idraulici ma nel 2004 decideva di affacciarsi all’imprenditoria aprendo una piccola impresa artigiana nel settore dell’idraulica. Inizialmente la ditta sembrava prosperare e l’uomo richiedeva dei prestiti per acquistare l’automobile, il furgone e altri beni strumentali per l’attività.
Purtroppo però nel 2009 iniziavano i primi problemi economici, complice la grave crisi iniziata nel 2008 a livello nazionale con ripercussioni anche sul settore di riferimento della sua attività.
In particolare l’uomo subiva un consistente insoluto da parte di un committente che gli versava il compenso con assegni scoperti.
Da quest’evento iniziavano i problemi e, quindi, le cause del sovraindebitamento.
Il cliente dello Studio Pagano doveva comunque adempiere al pagamento del materiale ordinato ai fornitori per quei lavori e si vedeva costretto a chiedere ai fornitori un piano di rientro con interessi.
La situazione era difficile ma ancora sostenibile finché veniva convinto, da parte di un promoter di un istituto di credito, a sottoscrivere un contratto di mutuo per l’acquisto di un immobile da ristrutturare.
La rata del mutuo era trimestrale e prevedeva importi che superavano i 1.500 euro. Il mutuo aveva durata di 35 anni ed era garantito da ipoteca iscritta sull’ immobile.
Le rate del mutuo, inizialmente, venivano onorate senza difficoltà e i problemi sembravano risolti. Tuttavia, man mano che i lavori di ristrutturazione avanzavano, i coniugi si rendevano conto che l’immobile necessitava di maggiori opere rispetto al budget inizialmente stimato e a loro disposizione. Iniziavano dunque le richieste di prestiti e a fatica, firmando anche cambiali, la famiglia cercava di far fronte a tutte le esposizioni debitorie, beneficiando anche per alcuni mesi della sospensione del mutuo.
Nonostante ciò loro malgrado il lavoro scarseggiava e i problemi diventavano insormontabili: nel 2016 la decisione era presa: chiusura dell’attività.
La banca iniziava a quel punto, non potendosi trovare un accordo, con l’azione esecutiva. Seguivano notifiche di cartelle esattoriali, il fermo amministrativo dell’auto e le richieste delle spese condominiali insolute.
La situazione debitoria li stava distruggendo.
Decidono quindi di rivolgersi all’Avv. Monica Pagano. A fronte della situazione descritta si opta per una delle procedure di sovraindebitamento disciplinate dal Codice della Crisi: la liquidazione controllata del sovraindebitato ex art. 268 CCII con proposizione di domanda congiunta ammissibile ai sensi dell’art. 66 CCII essendo i debitori familiari conviventi e avendo il sovraindebitamento un’origine comune.
La Liquidazione controllata del sovraindebitato
Il Codice della crisi riserva la procedura di liquidazione controllata a specifiche categorie. Si tratta del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo e della start up innovativa e ad ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza.
Sostanzialmente si tratta di una liquidazione giudiziale semplificata che si instaura con ricorso al tribunale competente.
Può essere promossa:
dal debitore, ammesso direttamente alla procedura controllata, o per conversione in tutti i casi di risoluzione o revoca della procedura di sovraindebitamento;
dai creditori, che possono attivare la procedura direttamente anche in pendenza di procedure esecutive individuali, o per conversione nei casi in cui la procedura di sovraindebitamento sia stata revocata per frode o inadempimento;
dal PM, direttamente quando l’insolvenza riguarda un imprenditore minore o per conversione nei casi in cui la procedura di sovraindebitamento sia stata revocata per frode o inadempimento.
Se è lo stesso debitore ad avviare la procedura deve essere assistito dall’Organismo di Composizione della Crisi. Esso predispone una relazione che valuta la completezza e l’attendibilità della documentazione inerente al debitore. La relazione contiene un’analisi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria che ha condotto alla crisi o all’insolvenza.
Se il creditore propone domanda nei confronti di un debitore persona fisica, il giudice nega l’apertura della liquidazione controllata se l’OCC, su richiesta del debitore, attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie.
La liquidazione comporta la messa a disposizione di tutti i beni del debitore al fine soddisfare i creditori attraverso la distribuzione delle somme ricavate.
Nella liquidazione entrano anche i beni sopravvenuti al debitore nei quattro anni successivi all’apertura della procedura. E’ fatto salvo quanto necessario per un dignitoso tenore di vita del debitore e della propria famiglia, secondo quanto stabilito dal tribunale.
Con la sentenza di apertura del procedimento il Giudice nomina il liquidatore, che generalmente è l’OCC che ha assistito il debitore nella presentazione della domanda o, in caso di giustificati motivi, lo sceglie nell’elenco dei gestori della crisi.
Il liquidatore giudiziale esercita le azioni di recupero dei crediti, le eventuali azioni revocatorie, aliena i beni e distribuisce il ricavato ai creditori.
L’apertura della procedura comporta il blocco di tutte le procedure esecutive e cautelari; gli eventuali giudizi di cognizione sono, su autorizzazione del giudice, proseguiti dal liquidatore.
Con la chiusura del procedimento di liquidazione controllata, il debitore ottiene di diritto l’esdebitazione.
Qualora la procedura non si sia chiusa entro i tre anni dalla sua apertura, l’esdebitazione può essere pronunciata dal tribunale dietro domanda del debitore.
A fronte di un debito di circa 250mila euro mettono a disposizione dei creditori:
l’immobile oggetto di procedura esecutiva;
quote di altri immobili di loro proprietà;
altre somme accumulate su polizze.
L’attivo supera di poco i 100mila euro pertanto una volta giunti al termine della procedura se avranno rispettato quanto prescritto potranno beneficiare dell’esdebitazione stralciando circa 150mila euro di debito residuo.