La donna, divorziata, aveva rilevato un’attività di commercio al dettaglio di biancheria intima in franchising
Lo stato di sovraindebitamento della donna che si è rivolta allo Studio origina dalla cessazione dell’attività commerciale avviata.
In particolare, nel 2005 rilevava un’attività di commercio al dettaglio di biancheria intima in franchising per un costo complessivo di circa 60.000,00 euro, attingendo ai risparmi personali e della famiglia nonché vendendo la sua automobile.
Purtroppo, circa due anni dopo, il gruppo disponeva il rifacimento dell’intero negozio e dell’arredamento, costringendola ad una spesa pari a poco più dell’investimento iniziale.
Per far fronte all’insorta esigenza di liquidità, la donna quindi stipulava un contratto di leasing strumentale della durata quinquennale. Nel frattempo sopravvenivano anche problemi di natura familiare e la donna si separava dal marito, divorziandosi nel 2012. Ciò comportava il peggioramento della sua situazione finanziaria essendo necessario far fronte in autonomia a spese che in precedenza venivano ripartite col marito.
In considerazione dell’ammontare medio dei canoni di locazione, inoltre, decideva di stipulare un contratto di mutuo che prevedeva una rata mensile più bassa dei canoni in precedenza pagati, reputando che un immobile avrebbe costituito un bene sicuro da poter lasciare al figlio.
Le rate del mutuo ipotecario ottenuto nel 2009, di importo pari a circa € 140.000,00, venivano però regolarmente pagate solo fino al 2013 allorquando la donna si vedeva costretta a chiedere la moratoria annuale dei pagamenti, concessa per la sola quota capitale. Al termine del periodo di sospensione concordato, la situazione economica e finanziaria era tale da non consentire comunque la ripresa regolare dei versamenti.
Per far fronte alle spese quotidiane e alle necessità primarie, nonché per ripianare le esposizioni pregresse, avendo dovuto cessare l’attività commerciale avviata, chiedeva un prestito personale per un ammontare di € 30.000,00 circa nonché un finanziamento chirografario.
I debiti accumulati negli anni si attestano attorno ai 270 mila euro.
La cliente si è quindi rivolta allo Studio Pagano & Partners che dopo l’analisi della posizione ha valutato di procedere con la liquidazione del patrimonio (una delle procedure previste dalla Legge 3/2012).
Cosa è una liquidazione?
È possibile accedere a questa procedura prevista dalla Legge 3 del 2012 anche senza essere in possesso di beni mobili/immobili (in questo caso si metterà a disposizione dei creditori ad esempio una provvista mensile derivante dallo stipendio) o avendo solo un reddito esiguo.
Vi si può accedere chiaramente anche nel caso in cui vi siano beni del debitore da liquidare (che siano ad esempio immobili o mobili registrati come le auto).
Il soggetto sovraindebitato, non avendo la possibilità di riuscire a formulare una proposta di rientro per tutti i creditori, prende la decisione di liquidare tutto quello che è il suo patrimonio.
Il debitore quindi cede il proprio patrimonio, destinandolo al pagamento dei suoi debiti. Il vantaggio concreto consiste nel fatto che il patrimonio disponibile è inferiore a tutto il monte debitorio e spesso non è di facile liquidazione e vendita.
Grazie a questa procedura vengono innanzitutto individuati i suoi beni, compreso lo stipendio. Si escludono dalla liquidazione i beni non pignorabili, i crediti necessari per l’alimentazione e il mantenimento nonché gli stipendi, nella misura necessaria al mantenimento del debitore e della sua famiglia.
Il Gestore della Crisi, nominato da un Organismo di Composizione della Crisi, redigerà –d’accordo con l’eventuale professionista designato e con il debitore- una relazione particolareggiata di attestazione che depositerà in Tribunale contenente, tra l’altro, una stima di questi beni, sia mobili che immobili.
Il giudice verificata la correttezza e la fattibilità della procedura emetterà il decreto di apertura della procedura liquidatoria.
L’obiettivo sarà quello di liquidare i beni riuscendo a sanare, almeno in parte, i debiti contratti dal soggetto sovraindebitato.
Tutto il ricavato, infatti, verrà successivamente destinato al pagamento, totale o parziale, dei debiti.
La procedura avrà la durata minima di 4 anni.
Tramite il decreto di apertura della liquidazione del patrimonio verranno sospese tutte le procedure esecutive pendenti e non potranno esserne iniziate di nuove.
Al termine della procedura il debitore, che avrà in qualche modo “sanato” la situazione derivante da impegni economici (obbligazioni) non rispettati nei confronti di tutti creditori, che si sarà comportato con diligenza, che avrà cooperato con gli organi della procedura, che non avrà omesso altri proventi e non avrà contratto nuovo debito, potrà aspirare ai benefici dell’esdebitazione e liberarsi definitivamente da tutti i debiti avendo nuovamente accesso al credito. L’esdebitazione non è automatica e andrà richiesta al giudice mediante ricorso.
Il fine ultimo delle procedure di sovraindebitamento è infatti l’esdebitazione, la totale liberazione dai debiti con lo stralcio definitivo del residuo (ciò che non si è “ripianato” con la procedura) e la possibilità di avere nuovamente accesso al credito.
Per quanto attiene alla proposta di liquidazione la donna mette a disposizione dei creditori il ricavato dalla vendita dell’immobile di proprietà del valore di circa 90mila euro e una provvista liquida mensile che sarà calcolata sulla base dello stipendio percepito pari ad euro 1.500,00 detratte le spese mensili per il sostentamento proprio e della famiglia pari ad euro 1.200,00.
Importante sottolineare alcuni passaggi del provvedimento: il Giudice di Varese ritiene “ammissibile l’apertura di una procedura di liquidazione del patrimonio nell’ambito della quale il ricorrente metta a disposizione della procedura concorsuale, nella sostanza, i beni già oggetto di procedura esecutiva attualmente pendente” e ancora osserva che “in ragione della pendenza della procedura esecutiva a far tempo dall’anno 2019 (procedura nell’ambito della quale sono già stati nominati tutti gli ausiliari del G.E. e, pertanto, già maturati i relativi compensi professionali a carico del creditore procedente da soddisfarsi con il privilegio di cui all’art. 2770 c.c.), non sussiste, all’evidenza, alcuna concreta utilità per la massa ad arrestare la predetta procedura individuale ai sensi dell’art. 14 quinquies comma 2 lett. b), ritenendosi, invece, conveniente, in un’ottica di contenimento dei costi da soddisfarsi in prededuzione, che il Liquidatore, al fine di assicurare la par condicio creditorum, intervenga nella procedura tuttora in corso ai sensi dell’art. 14 novies, comma 2, ultimo periodo L. n. 3/2012, così come parimenti consentito in materia fallimentare ai sensi dell’art. 107, comma 6, l.fall.”.
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